di Antonio Gasbarrini
Se ci s’innamora, si è presi, catturati e basta. L’incrocio di due sguardi, il patto, e poi le rincorse. Anche per un libricino può scattare, quando meno te l’aspetti, l’intrigante colpo di fulmine. Come mi è accaduto nella storica libreria Colacchi, a L’Aquila, una trentina di anni fa.
Fresco di stampa, faceva bella mostra di se, con la copertina rosata. Ti si offriva al rapace sguardo con la stessa insistenza di una donna di strada. Sulla banda nera, in alto, “Piccola Biblioteca 61”; quindi il nome dell’autore, in corsivo corpo 14, Gershom Sholem; a seguire il titolo “WALTER BENJAMIN E IL SUO ANGELO e, infine, il familiare danzante logo conchiuso con la scritta ADELPHI (con il tagliente, profondo pensiero di Benjamin, avevo già familiarizzato con quattro libri cult: Angelus Novus, Avanguardia e rivoluzione, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Il dramma barocco tedesco).
Dopo aver letto qualche rigo randomizzato, sfogliando a casaccio il centinaio di paginette, l’attenzione s’era soffermata sul nome di Klee e sulla notizia di una rivista benjaminjana mai uscita. C’era poi l’enigma di quel nome, Agesilaus Santander, a farmi decidere per il sì. A casa, l’erotica copula consumata tutto d’un fiato.
Un incontro fatale. Lo stesso avvenuto per Walter Benjamin e l’acquerello di Klee acquistato a Berlino nel 1921 molto probabilmente in «un locale imprecisato del Kurfürstendamm».
L’ebreo Walter Benjamin era un appassionato di Kabbalah e di anagrammi. Quel quadretto, l’Angelus Novus, appunto, «per un ventennio ebbe grande importanza nelle sue riflessioni». Fino al tragico suicidio, nel novembre 1940 a Portbou (sulla Costa Brava nell’immediato confine franco-ispano) per sfuggire alla deportazione nazista. Lo avevano ritrovato senza cornice, dopo la morte, in una delle due valigie che il pensatore tedesco aveva trascinato con se insieme ad altri documenti nell’ultimo, disperato e disperante tentativo di fuga.
La lettura dei due appunti datati 1933, mi aveva chiarito la versione luciferina dell’Angelus Novus rinominato da Benjamin con una finzione letteraria Agesilaus Santander (rispettivamente, il nome del re spartano Agesilao e della cittadina spagnola omonima), anagramma, a parte una i, di Der Angelus Satanas.
Der Angelus Novus vs Der Angelus Satanas? Stando alla versione dell’affascinante nona Tesi di filosofia della storia, m’era apparsa abbastanza convincente questa mia personale interpretazione, suffragata, come scriverò più in là, dall’apocalittico terremoto delle 3.32 del 6 aprile 2009. Solo a ripensare a quanto è accaduto, mi s’accappona la pelle.
Ma, andiamo con ordine. Ecco la trascrizione integrale della “Nona” scritta qualche mese prima del suicidio, assai beethoveniana per la sua grandiosità:
«C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte ch’egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo sospinge irresistibilmente verso il futuro, a cui egli volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso è questa tempesta».
Chi era, da dove veniva e perché l’Angelus Novus? Un passo indietro.
Nella seconda versione (definitiva) di Agesilaus Santander possiamo tra l’altro leggere: «La Kabbalah racconta che Dio crea ad ogni istante un numero sterminato di nuovi angeli, ciascuno dei quali è destinato soltanto a cantare per un attimo le sue lodi davanti al suo trono prima di dissolversi nel nulla. L’Angelo Nuovo si palesò per tale prima di volersi nominare. Sennonché, io temo di averlo sottratto per un tempo indebitamente lungo al suo inno. Del resto egli me lo ha fatto scontare».
Ero subito rimasto influenzato dalla visione di questi “nuovi angeli”, vittime sacrificali di un dio ipervanesio. Decisamente un’esistenza inutile quanto effimera la loro! Anche la progettata rivista Angelus Novus, mai uscita per difficoltà finanziarie del potenziale editore, non era stata ideata per durare in eterno: un solo numero sarebbe stato sufficiente….
Il libricino, con la mediazione del ritornante Angelus Novus, irromperà nuovamente nella mia vita sul finire degli anni Ottanta. In quel periodo era terminata la bella esperienza vissuta all’interno del sodalizio Officina Culturale ’77 nella veste di direttore artistico, sodalizio battezzato alle 99 Cannelle con una singolare performance. Sulla mezzanotte, alcuni artisti aquilani, su mio invito, avevano dipinto mentre io, seduto sulla gradinata, munito della mitica Olivetti 22 sulle ginocchia, “trascrivevo” il testo critico.
La performance consisteva in questo: distruggere l’opera affogandola nei piloni. Se il messaggio era abbastanza chiaro (l’inutilità e l’effimerità dell’arte), non altrettanto prevedibili erano le reazioni psicologiche degli artisti ad infanticidio consumato. Ebbene, più di uno, ha subito tratto in salvo il suo “presunto” capolavoro. Poi, ragionandoci su, ha acconsentito anche lui allo sterminio di massa. Tutte le tele, quindi, sono state ripescate, per essere distese nell’ampissimo piazzale: un simbolico confronto diacronico tra le candide lenzuola qui lavate e messe ad asciugare fino all’immediato dopoguerra dalle popolane aquilane, e l’arte slavata. Il mattino dopo, tutti insieme, sul luogo del delitto. Dei dipinti nessuna traccia. Non si è mai saputo se a toglierli siano stati gli addetti alla nettezza urbana, uno o più partecipanti alla performance, qualche concittadino di passaggio.
Questa è la prima testimonianza diretta di quel mirabile evento, documentato in un album in poche copie numerate, venuto alla luce nella longeva stamperia di Claudio Del Romano, valente attore, regista teatrale, dicitore, pittore e scultore. Nel corridoio, un angusto spazio in discesa, venivano allestite mostre personali e di gruppo anche degli artisti aderenti all’Officina, tenuti dibattiti ed incontri più svariati sulla cultura contemporanea (Nicola Ciarletta e Giovanni Carloni erano di casa). Di una delle più riuscite iniziative, il seminario Critica d’arte e massmedia, con la partecipazione, tra gli altri, del compianto Filiberto Menna e dell’editore del Giornale dell’Arte Umberto Alemandi, restano in mio possesso, come venerate reliquie, i testi mai pubblicati.
Qualche tempo dopo la chiusura di Officina Culturale ’77, mentre rileggevo con la dovuta attenzione le pagine benjaminiane, una folgorante illuminazione, per dirla con Rimbaud, ricompose negli anarchici neuroni l’eufonico trinomio Agesilaus Santander / Angelus Novus / Rivista: come onorare al meglio la laserica intelligenza di quell’eccezionale pensatore? La soluzione allo stringente, anzi lacerante quesito, fu immediata. Si trattava semplicemente di schiacciare un altro Uovo di Colombo: aprire un nuovo spazio culturale dedicato all’Angelus Novus, in una città che proprio in quegli anni cominciava a manifestare i primi segni di decadenza dopo i precedenti aurei decenni postbellici.
Detto e fatto. Il nome: Angelus Novus; l’attività: Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea; il logo: l’Angelus Novus di Klee rielaborato graficamente dall’artista Silvestro Cutuli. Quindi la redazione del numero zero della rivista NAC, News Art Contemporanea. Sede e spazio espositivo in pieno centro in Corso Federico II, dove da Gennaio a Maggio del 1988, sotto l’unitario titolo di Lo specchio di Mnemosine, vennero allestite le mostre personali intergenerzionali di quattro autentici cavalli di razza: Nino Gagliardi, Massimina Pesce, Marcello Mariani ed il giovanissimo Sergio Nannicola. Ogni giovedì, inoltre, l’appuntamento con la poesia contemporanea: lettura, in lingua originale, dei vari Celan, Brodskij, Magrelli, Bellezza.
Del poeta romano prematuramente scomparso nel 1996, intervenuto personalmente per leggere versi del suo libro Serpenta uscito l’anno prima, ricordo una chioma fluente e un vistoso maglione giallo: su tutto, la grazia di chi sapeva conferire una leggerezza calviniana alle maleolenti parole recuperate dall’immondezzaio della vita.
Sul finire dell’anno, quindi, il trasloco definitivo nei più funzionali spazi sei-settecenteschi di Via Sassa, ad una cinquantina di metri da Piazza Duomo, sigillati venti anni dopo, dal devastante sisma del 6 aprile.
Fare la cronistoria dell’intensa attività espositiva ed editoriale dell’Angelus Novus, non ha alcun senso. Artisti di rango, poeti, conferenzieri, scrittori, musicisti, attori, registi, scienziati hanno sempre trovato, tra quelle ch’erano immacolate pareti, ora squarciate in più parti dall’insaziabile ingordigia di Mr. T, una calda accoglienza. Sotto l’insegna delle più pregnanti ricerche d’avanguardia (con sottese parole d’ordine: interdisciplinarità e contaminazione linguistica), hanno avuto sostegno e condivisione movimenti storici quali Futurismo, Lettrismo d’Isidore Isou, Situazionismo di Guy Debord e contemporanei come l’Arte Agravitazionale di Vito Bucciarelli, Giovanni D’Agostino, Peter Bormann & C. o l’Inismo di G.-@ Bertozzi, François Proïa, Angelo Merante & C. L’ospitalità accordata a varie edizioni di Poetronics – commistione tra poesia, arte e musica elettronica – hanno schiuso finestre alla ricerca avanguardistica di frontiera: le performances di Gianni Fontana ne sono state una vivida testimonianza
Qualche riga in più va invece spesa per la rivista News Arte Contemporanea (alias Angelus Novus) uscita, sempre nel 1988, come bimestrale, con due numeri zero + 3 ulteriori. Alcuni di essi li ho recuperati dalle macerie alcuni giorni fa, vale a dire dieci mesi dopo il sisma.
Subito mi ha colpito, quasi non fossi stato io stesso ideatore, direttore responsabile ed editoriale, la sua persistente, fresca modernità. Nell’oblungo formato rettangolare di cm. 24×50, 12-16 pp., sotto l’occhiello “Fatti, testi ed immagini d’arte” sono stati proposti, in un serrato confronto, gli eventi artistici più significativi del panorama nazionale, europeo ed internazionale “forati” mediaticamente da belle fotografie in bianco e nero (opere e artisti). Nel paginone centrale, poi, la reinterpretazione iconica del kleeniano Angelus Novus (Remo Brindisi, Domenico Colantoni, Federico Gismondi, Renzo Margonari).
Nella prima di copertina il sommario commentato, un’immagine di grande formato ed un editoriale invitavano cortesemente il lettore a non desistere e a tenere saldamente in mano lo scomodo formato. Ecco, in ordine cronologico, lo strillo di ogni numero, con relativa descrizione dell’immagine (numero 0: Sotto il segno di van Gogh + autoritratto; n. 1: Il grande circo + riproduzione olio The Healer dell’artista Ratner; n. 2: Venezia delle mie brame + foto di Jasper Johns; n. 3 I ferri del mestiere + foto di Susana Solano).
All’interno poi, con testi ed interviste agili, si dava conto dell’aperto conflitto ideologico più che estetico in atto in quel periodo, tra l’avvento postmoderno-citazionista e le ricerche culturalmente più avanzate per cui parteggiava apertamente l’Angelus Novus. Arte telematica, Arte elettronica, Poesia visiva, Cinema e Teatro d’avanguardia, interviste ad artisti della levatura di Remo Brindisi, Lamberto Pignotti, Fabio Mauri, recensioni di Biennali e di mostre di qualità (spazianti da Osvaldo Licini a Vito Acconci e Basquiat), costituivano il fitto tessuto connettore di un’arte appetibile più che mai. Tra i collaboratori più assidui: Renzo Margonari, Giuseppe Salerno, Paolo Guzzi, Mario Lunetta, Elena Lacava, Luigi Amendola, Leo Strozzieri.
Reso il dovuto Omaggio a quelle nitide pagine senza pubblicità, finanziate esclusivamente con abbonamenti, ci stiamo avvicinando a passi rapidi al medianico evento capitale verificatosi nello spazio culturale dell’Angelus Novus la terribile notte delle 3.32.
Protagoniste indiscusse di un incontro ravvicinato tra vita e morte, angeli e demoni, due opere: Omaggio all’Angelus Novus–Nac, dell’artista tedesca Nanine Burkart dipinta con tecnica mista in concomitanza della sua mostra personale, quindi donata; Angelus Novus x Angelus Novus, una eterea installazione permanente agravitazionale di circa 80 metri quadrati realizzata sulle volte a crociera da Vito Bucciarelli nella metà degli anni Novanta. Entrambe facevano parte integrante della Sezione permanente internazionale d’arte contemporanea dell’Angelus Novus, sezione attivata tra una mostra e l’altra.
Il 5 aprile avevo cominciato a collocare alcuni quadri nello spazio, poggiandoli dritti sul pavimento. L’Omaggio all’Angelusnovus–Nac della Burkart era posizionato al centro della parete principale del salone espositivo posta di fronte alla rinascimentale porta di accesso.
Qualche ora dopo, la catastrofe. Quindi la precipitosa fuga dalla città distrutta insieme a 70.000 concittadini ed il successivo approdo, come autentico profugo, in un albergo della costa teramana. Senza niente. Né valigie, né tanto meno indumenti di ricambio. Nel centro di accoglienza della Protezione civile ci si riconosceva per il terrore ancora dipinto in malo modo sul volto e per la domanda ricorrente scambiata anche tra amici o semplici conoscenti: come sta? Non si trattava di salute o di un lei di riguardo. Il “come sta?” si riferiva semplicemente alla casa. Qualche giorno dopo avremmo imparato a memoria le lettere della tranquillità (A, B, C, case agibili, con danni non eccessivi), D (stato di agibilità da approfondire) o della disperazione (E danni strutturali), F (edifici da abbattere). E lo spazio dell’Angelus Novus ubicato in un palazzo sei-settecentesco, con tracce architettoniche trecentesche, in piena zona rossa, in che stato si trovava? E la collezione, le riviste, i libri, il materiale d’archivio massmediatico che fine avevano fatto? «Come stai Angelus Novus?», mi sono chiesto e gli ho ripetutamente chiesto nella spasmodica attesa di una buona novella, la stessa portata agli aquilani assediati in quella serpentinata via cittadina delle “Bone novelle” dopo la sconfitta dell’assediante Braccio da Montone.
Per alcuni mesi era stato impossibile accedere al centro storico devastato dal sisma, con il suo carico di dolore svilito dall’anonimia di aride cifre (oltre 300 morti, circa 2000 feriti).
Dappertutto caos pietroso ed entropia. Stordito dallo shock durato una quindicina di giorni, non mi ero accorto che l’Angelus Novus benjaminiano si era manifestato, e come!:«Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto».
Pensavo di aver inteso appieno il silente messaggio dell’angelo dai riccioli di pergamena. Mi sbagliavo di grosso. C’è di più. Quanti putti tridimensionali barocchi ed angeli affrescati con maestria da quei valentissimi pittori rinascimentali aquilani come Saturnino Gatti, erano stati catapultati a terra senza alcun riguardo, frammischiati ora a quelle montagne di macerie solcate da torrenti e torrenti di lacrime? Provate, con l’immaginazione, a far piangere contemporaneamente 140.000 occhi: altro che torrenti!
L’arte, tutta la magistrale arte della nobilissima città dell’Aquila, trasmutatasi in macerie. Chiese secolari sventrate, dipinti, sculture, arredi sacri, organi seicenteschi seppelliti da metri e metri di tegole, mattoni, travi, pietre venute giù con tutto il peso temporale, e non solo gravitazionale, del loro aulico passato. Quasi otto secoli di storia urbana, architettonica e monumentale di una delle più dotate città d’arte italiane ed europee, andati in malora in una manciata di secondi: da stramaledire.
Non sono bastati gli avatar rossicci umani sostituitisi a quegli angeli che hanno sbattuto in malo modo il loro effeminato muso sulla tremante terra aquilana, a ridimensionare la tragicità dell’accaduto. Sospesi tra cielo e terra, appesi come oscillanti pendoli sulla sommità di quelle filiformi gru, rischiando spesso la vita, si sono calati dall’alto nelle viscere di quelle disordinate cataste per recuperare l’intatto corpo di Celestino o la scultorea Madonna in ceramica di Silvestro aquilano, pacifici e pacifisti trofei sottratti all’incombente morte memoriale.
Quanto all’Angelus Novus in via Sassa, era arrivato finalmente il giorno dell’incontro ravvicinato in quell’inaccessibile, interdetta zona rossa dove solamente a spettri, fantasmi, cani, gatti e topi era consentito ora di circolare liberamente. E gli aquilani? Spariti, eclissati nel nulla.
A guardarmi intorno, mentre mi avvicinavo – casco in testa e con il cuore in gola – alla surreale meta scortato a vista dai vigili del fuoco e dai tecnici della Soprintendenza, solo distruzione e desolazione ritmavano gelidi silenzi di tomba. Il portone di accesso nel Palazzo aveva retto, mentre la porta d’ingresso dell’Angelus era sbarrata da travi lignee di sostegno. Liberato l’ostacolo, nel paio di minuti concessi, uno sguardo smarrito, confuso e disorientato (il mio) ingoiava al rallentatore, i segni-cicatrice della devastazione.
Guardando la parete in cui la sera prima avevo poggiato il quadro Omaggio all’Angelus Novus-NAC della Burkart, mi ero subito reso conto di come la profezia benjaminiana si fosse qui materializzata in tutta la sua tragicità: all’altezza di circa tre-quattro metri dal pavimento l’onda sismica aveva squarciato il muro, facendo venire alla luce, è il caso di dirlo, un’ampia finestra rettangolare, murata con mattoni d’epoca: una finestra cieca, insomma, occultata per qualche secolo. Alcuni consistenti calcinacci erano finiti sul quadro riverso, quasi a voler suggellare, simbolicamente, la morte dell’angelo-effimero. Dal quadro, alla finestra murata, alla volta: il mio stralunato sguardo s’inerpicava cercando l’ancora di salvezza nella menzionata installazione agravitazionale Angelus Novus x Angelus Novus di Bucciarelli.
La volta a crociera, benché malconcia, aveva sostanzialmente retto, a parte il parziale distacco di molte delle minuscole tessere circolari di carta trattate con una tempera luminescente che ne consentiva l’ellissoide trasmutazione notturna. Alcune crepe non erano riuscite a deturpare l’etereo volto dell’angelo, mai così determinato in questa drammatica circostanza a contrapporre le platoniane forze del bene e del bello a quelle luciferine del male. Angelus Novus x Angelus Novus contro, vs Angelus Novus-NAC? Non direi. Per trovare conforto ad una conciliante tesi, subito dopo essere stato pressoché scacciato dai vigili del fuoco (il pericolo di ulteriori crolli non era escluso), e dopo essere stato riaccompagnato con il loro gippone alla Fontana Luminosa, di corsa (una strana corsa), mi sono catapultato dentro la mia macchina. Ho aperto un file dell’archivio digitalizzato sul pc portatile, fortunosamente salvato dalla disgrazia. Volevo rileggere l’incipit del mio testo critico sull’installazione scritto a suo tempo, dimenticato nei particolari, ma ben presente nella sua sostanza.
Le voila: «L’angelo sta alla luce come il demone sta alle tenebre. Ma luce ed ombra sono due facce della stessa medaglia aventi una diversa lunghezza d’onda: come la vita e la morte. Solo all’angelo nuovo, creato unicamente per cantare le lodi al signore, è concesso di morire di sola luce (riflessa alla stregua di ogni opera d’arte non-agravitazionale)».
Alla fin fine, rimuginavo tra me e me tirando un sospiro di sollievo, Mr. T non ce l’ha fatta a seppellire definitivamente tra le sue grevi macerie la luce dei due angeli “analogici” dell’Angelus Novus. E poi è ben vero: anche per loro, la tempesta spirata dal paradiso s’è solo in parte impigliata nelle ali fracassate. Non conosco quale sarà il futuro assegnato dal deus ex machina. So con certezza che quel cumulo di rovine non sta salendo nel cielo, ma precipitando nell’inferno, dove domina incontrastato l’Agesilaus Santander.
Mr. T deve proprio essere uno dei suoi malefici, terrificanti avatar negativi, la cui incontenibile furia iconoclasta, e non solo, s’è particolarmente scatenata contro la mia città azzerandola. Ma, la rimbombante tempesta luciferina non ha generato alcun progresso. Anzi.
Le macerie dell’arte, della storia dell’arte moderna e contemporanea, ne sono una prova inconfutabile. Nell’occidente, con le avanguardie storiche e neo, tutta l’arte figurativa precedente (figurativa si ribadisce nella sua essenza allegorica come ha magistralmente chiarito proprio Benjamin) è stata reiteratamente demolita, rinnegata, ridotta in macerie. Scrivere e soprattutto parlottare di darwinismo linguistico (progresso) tanto caro ad alcuni critici e storici dell’arte, non ha alcun senso. L’arte e gli artisti possono collocarsi en avant alla Rimbaud, ma ciò non significa minimamente aver effettuato nuove scoperte, magari solo d’ordine formale, capaci di “spostare in avanti” la ricerca di singoli, gruppi e movimenti d’avanguardia. Non c’è nessuna evoluzione, ma un semplice cambiamento di punti di vista e prospettive. In questi ultimi anni l’arte numerica, virtuale-digitale sta sopravanzando quella analogica. Non è solo una questione di supporti (tela e colori, video e pixel, tanto per esemplificare), ma di una strenua lotta tra luce (arte digitale) e materia (arte analogica).
E come in un gioco dell’oca, siamo ritornati al punto di partenza, là dove la ctonia fisicità dell’immortale Angelus Satanas e del suo alter ego analogico Mr. T, hanno invano tentato di oscurare la luce e silenziare il canto di quegli angeli effimeri quanto si voglia, eppure sopravvissuti, sia stato pur un solo attimo, al vertiginoso cataclisma delle 3.32.
Sopravvissuto per grazia ricevuta (dall’Angelus Novus?) è anche il critico d’arte militante, pronto a ri/cominciare tutto daccapo. Provato nel fisico insieme ai suoi tanti, troppi compagni di sventura, invecchiati tutti d’un colpo nelle tendopoli e nelle camerette-camerate degli alberghi della costa. Indomito nello spirito, per continuare a portare il lieve soffio dell’arte e della poesia tra le vestigia d’una necropoli da resuscitare: respirando bocca a bocca.
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